lunedì 30 maggio 2016

Scarpe grosse e cervelli fini

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Pietro, il giovane pastore dell’alpe di Roggio, si trovava in mezzo alla sua mandria che brucava volentieri l’erba profumata, mentre il sole già alto nel cielo limpido riscaldava uomi, animali e cose. La musica di cento campani, lo scrosciare del ruscello vicino, l’aria profumata, la giovinezza nel cuore, inebriavano l’animo sveglio e gaio del giovane pastore che sapeva apprezzare la bellezza dei monti, il profumo dei fiori, la voce della natura. Ma Pietro godeva pure leggendo buoni libri, sciogliendo problemi, sfogliando riviste. E così, proprio quella mattina di piena estate, scorrendo le novita‘ della sua valle, apprese con vivo interesse come il console lanciava un pubblico concorso che diceva così:

«Chiunque saprà presentarmi cinque problemi/indovinelli che mia figlia non è in grado di sciogliere, riceverà in compenso cento scudi d’oro». Firmato: «Il Console».


Pietro si sentì rimescolare. Perche' non tentare, lui, che aveva già risposto a tanti problemi e tanti ne sapeva improvvisare? «Ma forse» pensava «Il concorso non è che un pretesto». La figlia del console, sebbene molto carina, non è più fanciulla, bisogna trovarle marito. Aurora (così si chiamava la “consolina”) non era certo carne per i denti di Pietro che del resto, era bello, forte e gagliardo come gli alberi dei nostri monti. Eppure... il pastore di Roggio non poté resistere alla voce che gli sussurrava costantemente: «Va’, va’, tenta la tua fortuna!». Lì Pietro non poté resistere. Si congedò dai compagni di lavoro che lo salutarono sorridendo, augurandogli tanta fortuna.

«Ei problemi, Pedrìn?», chiese Mario, il casaro, mentre salutava l`amico con un cenno della mano. «Li studierò lungo il cammino», rispose il pastore proseguendo a passi sciolti per il sentiero. E strada facendo il nostro simpatico giovane si lambiccava il cervello in cerca di problemi che, nemmeno a farlo apposta, proprio ora sembrava non voler venir a galla. Ma la fortuna è degli audaci, dice il proverbio, e ben presto ecco che l’agognata dea favorisce l’alpigiano. Un uccellaccio che si sarebbe detto di malaugurio, sfiorava continuamente il capo del nostro, che, persa la pazienza, gli scaglia contro un sasso.

Il colpo però fallisce e il corpo solido colpisce mortalmente un leprotto precedentemente perseguitato dai cani. Sorride Pietro e pensa: «Ecco il mio primo problema». E scrisse sul suo taccuino: «Tiro a chi vedo e colpisco chi non credo». Proseguì più fiducioso il suo cammino, ma s’accorse ben presto che il bel sole del mattino era scomparso dietro nuvoloni neri, neri, che promettevano poco di buono. Infatti si scatenò poi un impetuoso temporale che lo consigliò di rifugiarsi in una stallaccia che sorgeva provvidenzialmente poco lungi dalla via. Qui, Pietro, mentre aspettava, convenne che sarebbe stato meglio regolare anche il conto col suo stomaco che incominciava a brontolare, e non avendo altro, pensò alla sua lepre. Ma non c’era nemmeno un po’di legna in quel localaccio. Giornali però ne aveva parecchi in tasca. Proprio questi servirono per “cucinare” alla meglio l’eccellente bocconcino.


E nacque cosi spontaneo il secondo quesito: «Mangiar carne cotta con le parole». Ritornò il sole e Pietro riprese la discesa. Avvicinatosi alla sorgente per bagnarsi la fronte e per bere una goccia d’acqua buona, vide che l’arco argenteo, battendo continuamente sulla roccia sottostante aveva formato nella stessa una Specie di conca rotondetta, come se fosse stata lavorata dagli uomini. Pietro osservò attento e scrisse: «Il molle intenerisce il duro». Prosegui il nostro più felice lungo il sentiero, ma fu tosto fermato da un puzzo nauseabondo. Ecco che uno stormo di Corvi si posa su di un corpo nero a pochi passi dalla strada. L`alpigiano, pur tenendosi a debita distanza, vuol sincerarsi di che si tratta. È il corpo di una capra in putrefazione. Quella rogna tira i corvi, pensa Pietro, e scrive: «Il morto tira il vivo»

Stava l'alpigiano per entrare nel borgo, e cercava invano il suo ultimo problema da sottoporre quando vide un gattone grigio arrampicarsi disinvolto su di un albero e fermarsi in atto d’agguato vicino al nido che ospitavai i teneri uccellini. Ma la mamma, che custodiva gelosamente i piccini, incominciò a tempestare il capo del suo nemico conforti beccate. Così il cattivo felino dovette rinunciare alla strage. Pietro commosso, osservò e scrisse: «Colpito alla testa,il nemico s’arresta».

Entrò il nostro nel palazzo del console dove era un andirivieni di concorrenti. Nessuno era riuscito a confondere madamigella Aurora. Il superbo alpigiano, invece, mise nell’imbarazzo la bella giovane che, dopo aver dato le più svariate risposte, non era riuscita mai adazzeccare quella giusta. Pietro, giulivo, intascò la sua meritata ricompensa, e, a generale richiesta, raccontò come erano nati i suoi problemi.

Aurora, la bella “consolina”, ebbe allora uno sguardo di ammirazione e di rispetto per il pastore di Roggio e gli strinse cordialmente la mano. E il signor console, battendo la sua destra sulla spalla del montanaro, non poté far altro che ripetere il vecchio ritornello:

«Contadini, montanini, scarpe grosse e cervelli fini».

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