giovedì 2 giugno 2016

I DUE MONDI



(2003, colore, 7 min.) di Riccardo Lurati
Interpreti: Carmen Jiménez Rodriguez, Dario Agrippa
Produzione: Ranesupreme
Regia: Riccardo Lurati
Sceneggiatura: Riccardo Lurati
Assistente alla produzione: Daniela Perucchi
Fotografia: Riccardo Lurati, Mauro Scaramella
Film muto, che racconta un rapporto tra madre e figlio, due mondi uniti e separati dall’incomprensione.

Una scelta azzeccatissima, quella di non inserire un sonoro in questa pellicola (il film è girato in 35mm.): dopo l’iniziale spiazzamento (un giovane, il figlio, che balla con le cuffie in testa dinnanzi alla finestra panoramica di un appartamento senza che si possa udire alcun suono) si rimane affascinati da quest’opera che riesce a comunicare senza dire, e che è cinema allo stato più puro, senza essere sterile sperimentazione. Perché, pur essendo girato con rigorosa precisione, questo lavoro di Riccardo Lurati (anche sceneggiatore) non è mai freddo, e sa soffermarsi sui momenti topici della difficile relazione madre-figlio.



Il cortometraggio parte in alternanza con i titoli, e dopo la scena già descritta ci mostra tre porte, ognuna recante un cartello: “Stanza della madre”, “Bagno madre & figlio”, “Stanza del figlio”, mostrando già in queste prime inquadrature la divaricazione dei due mondi. La macchina da presa penetra poi nel bagno, dove ci mostra oggetti da toilette contrassegnati, ognuno, da un biglietto che ne sancisce l’appartenenza: madre, figlio. Poco dopo vediamo la madre indossare una felpa bordeaux con la scritta “Io sono la madre”, e il figlio una maglietta grigia con la scritta “Io sono il figlio!” (con un significativo punto esclamativo!), dove i colori giocano un ruolo importante. Come giocano ruoli importanti queste autodefinizioni, in un’interpolazione, anche, del classico M/F (Maschio/Femmina), invertiti nella polarità Madre/Figlio.
Lurati utilizza immagini simboliche, laddove mostra più volte la madre aprire un armadietto nel quale alcune valvole, attraverso le quali controlla il figlio, sono contrassegnate dalle scritte: SUONO – UMORE – PERSONALITA’. La madre svita via via queste valvole, cercando di manipolare il figlio.
Splendida anche la scena nella quale la madre, apparentemente servizievole, continua a versare caffè nella tazza del figlio (ovviamente contrassegnata dalla scritta “figlio”), fino a farla trasbordare, provocando così una discussione i cui toni sono resi ancora più accesi dalla mancanza di audio e dai particolari delle bocche.
Verso la fine la madre arriverà a legare e bendare il figlio, ma cambierà idea: gli toglierà la benda con cui gli ha coperto gli occhi, ma se la rigirerà tra le dita come se volesse strangolarlo, per cercare infine di sedurlo, dopo essersi trasformata in una sorta di Medea.
Ma la madre, stravolta, fugge, esce all’esterno ed incontra una processione di persone, tutte recanti in mano manopole come quelle che lei possiede, e altrettanto stralunate.
Un gioco ambiguo e crudele, quello condotto da Riccardo Lurati, come spesso accade nel suo cinema, percorso da forti simbolismi e situazioni a tinte forti. In pochi minuti di sole immagini riesce a dirci (e a significare) molto più di quanto riescano a fare altri registi in scipite opere interminabili.
Il regista possiede forza e misura, ed è tra i pochi a rendersi conto della potenziale potenza (e delle potenzialità, se mi perdonate il gioco di parole) di un cortometraggio, che nel metraggio breve deve saper essere incisivo ed imprimersi nella memoria.
Un regista che è padrone dei propri mezzi e sa trasmettere con coscienza critica il proprio messaggio.
Da recuperare.
Heiko H. Caimi
————————————————————————
Recensione già pubblicata sul numero di marzo 2006 di AllCasting Magazine

Nessun commento:

Posta un commento