mercoledì 1 giugno 2016

La Zecca di Roveredo

La Valle Mesolcina, cosi amena e ricca di bellezze naturali, di panorami variati e suggestivi, di cime imponenti e superbe, possiede dovizia di ricordi storici. Le magnifiche rovine del castello di Mesocco. quelle di Norantola e di Roveredo, la torre Fiorenzana in Grono, quelle di Pallas, di Boggiano, di Befeno e di Santa Maria, monumenti medioevali che colpiscono l'occhio del viandante, rievocano, in eloquente espressione, un volume di passate vicende. Abitata giä all'epoca neolitica e nell'etä del bronzo, ebbe più tardi l'impronta della civiltà di Roma; e da quei tempi datano le prime rocche ed i manufatti di sbarramento eretti contro i popoli settentrionali che avessero tentato di violare il passo di Mons Avium. Giä piü di un secolo fa, nel 1834, Giovanni Antonio a-Marca scrisse un compendio storico della Valle Mesolcina » che, se deve esser considerato come un tentativo encomiabile, era ben lungi dal rispondere in modo soddisfacente al tema che lo scrittore si era imposto. Piü tardi l'illustre storico ticinese Emilio Motta, le cui spoglie dormono nel cimitero di
Roveredo, raccolse una collana di notizie sul passato di quella Valle. Ed altre ne pubblico il lucernese dottor Liebenau nel suo pregevole studio sulla nobile famiglia dei Sacco. Nel 1930 il roveredano dott. Fr. Dante Vieli, raccolse materiale giä esistente, consultö archivi e documenti e pubblico, coi tipi della Tipografia Grassi & Co. di Bellinzona, la sua « Storia della Mesolcina », riuscita un lavoro d'indiscutibile valore. Mentre giä tre anni prima il dottor Amoldo Zendralli, pure di Roveredo, aveva pubblicato un pregevole studio illustrante tutta la fioritura di architetti, stueeatori e pittori che ad esempio dei maestri comacini, dalla bassa Mesoicina emigravano, nei passati secoli, numerosi ed organizzati, nelle terre di Germania, Austria e Francia e vi costruivano chiese e palazzi monumentali, acquistandosi onori e censo e lasciando nella storia dell'arte dei nomi illustri. L'opera dello Zendralli, pubblicata in lingua tedesca in un ricco volume illustrato coi tipi della Stamperia Fretz & Wasmut di Zurigo, reca il titolo « Graubündner Baumeister und Stukkatoren in deutschen Landen zur Barok und Rokokozeit. » La graziosa borgata di Roveredo, capoluogo del Distretto di Mesoicina e Calanca, che dolcemente si adagia sulle due sponde della romantica Moesa occupando una piacevole teoria di verdeggianti pendii, cinto da alti monti ricchi di pascoli e di boschi, presenta
un interesse tutto particolare per il suo passato. Sulla destra del fiume, quasi di fronte alla foce dell'impetuoso torrente Traversagna, laddove oggigiorno passa l'ardito ponte granitico della Ferrovia Bellinzona-Mesocco, si scorgono ancora alcuni ruderi con parte del fossato dell'antico castello che fu giä la piccola corte dei Baroni de Sacco per oltre tre secoli; ed in seguito dei Conti Trivulzio, Signori della Valle. Si sa che nel 1840 il feudo di Mesolcina fu dalla giä potente famiglia de Sacco ceduto al nobile milanese Conte Gian Giacomo Trivulzio; quel forte condottiero di eserciti che doveva poi salire alla dignitä di luogotenente del re Carlo VIII e di Francesco I, di generalissimo dell'esercito francese in Italia, grande Maresciallo di Francia, governatore di Lombardia, Asti, Abruzzo e, piü tardi ancora, di Lione; Duca di Melzi, Conte di Monte Odrisio, Marchese di Vigevano. Quel medesimo condottiero delle diciotto battaglie che, debellato il suo nemico Lodovico Sforza, il 6 ottobre 1499 entrava trionfalmente in Milano e vi dettava leggi. E sedici anni piü tardi batteva di nuovo i Ducali e gli Svizzeri a Marignano. II Trivulzio, che, oltre all'aver rinforzata e ben guarnita di armi ed artiglierie la rocca di Mesocco rendendola inespugnabile, aveva ingrandito ed abbellito il Castello di Roveredo, facendolo attorniare da un parco magnifico col laghelto e con pärecchie fontane monumentali a zampilli, una delle quali, pregevolissima come opera d'arte, si conserva tutt'ora nella Collegiata di Bellinzona, ridotta in due grandi pile per l'acqua benedetta. Nel 1487 aveva egli ottenuto dallTmperatore Federico III di Germania, previo il consenso del Duca di Milano, la conferma della di lui signoria sulla Mesolcina coll'aggiunta del diritto di battere moneta d'oro e d'argento nel Castello di Mesocco e suo territorio.
Perö egli non fa uso del suo privilegio di Zecca che verso il 1499, dopo cioe che, entrato al servizio della Francia, la sua formidabile fortüna nelle armi lo innalza ai piü alti gradi ed onori. Si riteneva da taluni che la Zecca funzionasse in un primo tempo nel Castello di Mesocco; ma successivi studi e scandagli poterono assodare che solo a Roveredo vennero battute monete; e precisamente nell'antico casamento vicino al Ponte di Valle, che esistette fino al 1912, epoca in cui esso fu quasi completamente demolito per erigervi, sulle sue fondamenta, l'attuale Pretorio; il quäle, nelle sue grandi linee, rievoca la fisionomia dell'antico fabbricato. Finche ancora esisteva la vecchia costruzione, essa era dai Roveredani denominata « la Zecca ». Dai muri massicci e tozzi, dalle porte robustissime, dalle finestre piccole ad inferriate, essa aveva un aspetto cupo, misterioso. E quando, verso il 1549, cessö di servire al suo scopo monetario, i Mesolcinesi l'adibirono a prigione. Non lungi dalla Zecca vi ha una strada secondaria che da Piazzetta conduce alla Stazione e che ancora oggi si chiama « la Caraa di Zechin » (carrale degli Zecchieri). Ed i piü vecchi Roveredani si ricordano perfettamente della presenza, in qualche casa del paese, di alcuni antichi strumenti ed attrezzi della Zecca, fra cui dei punzoni, dei conii, stampi, tondini, ecc. Mi racconta un vecchio magistrato di Roveredo che quando era ancor fanciullo si divertiva a stampare monete di piombo servendosi di quegli stampi e di quei punzoni. Oggetti che andarono poi in parte perduti, mentre parecchi si trovano ora al Museo Retico in Coira e nel Museo Nazionale. In forza adunque del diploma rilasciatogli dallTmperatore Federico e, nel 1496, da altro diploma rilasciatogli dal Duca d'Orleans, che era in allora Signore del Ducato di Milano, e di un terzo
concessogli dall Imperatore Massimiliano nel 1500, era lecito al Conte di Mesolcina Gian Giacomo Trivulzio ed ai suoi successori in perpetuo di battere moneta, che doveva aver corso nel Ducato e nelle terre soggette al re di Francia in Italia, in Mesolcina, nella Repubblica Elvetica ed in quella delle Tre Leghe del Grigione. Interessante e un messaggio di quei tempi diretto dal Commissario Leonardo Botta di Angera al Duca di Milano Lodovico Sforza, nel quäle si leggono le testuali parole: « Heri sera alogiö qui in Angleria un mulatero del Conte Zo. Jacopo Trivulzio cum muli doi et chasse quatro de croxoli da fondere argento; et parlando con lui me disse che el Trivulzio era in Asti; et mandava dicti croxoli a Mesocco per adoperarli a la Checa; et maxime che aveva trovato in queli paesi una vena de arzento ». Da tale documento lo storico Mazzuchelli voleva dedurre che in quell'epoca la Zecca si trovasse nel Castello di Mesocco; supposizione che perö dalle successive ricerche riusci infondata. Mentre l'asserto dell'esistenza, sui monti di Roveredo, di im filone d'argento puö trovare consistenza nel fatto che le sabbie di alcuni ruscelli ad Oriente del paese accusano la presenza del prezioso metallo. D'altra parte e notorio che nella Storia di Mesoicina dell'a-Marca e fatto cenno della presenza di filoni d'oro sugli stessi monti; notizia che ha riscontro nel fatto che ancora sette anni or sono, nel legname che fu fatto discendere dalla localitä detta « Resignaga », si trovarono appiccicati numerosi granelli di quel nobile metallo, fra i quali parecchi abbastanza voluminosi. Le ricerche susseguite, falte da gente non pratica, sur una zona alquanto vasta e poco comoda, non furono coronate da successo. Dal 1499, anno in cui la Zecca trivulziana di Roveredo deve aver incominciato a funzionare, fino all'epoca della morte di Gian Giacomo Trivulzio, avvenuta nel suo esilio di Chartres nel 1518, vennero coniate ben 90 tipi di monete d'oro e di argento, fra cui sei diversi tipi di scudi e zecchini d'oro. D'argento si conoscono i doppi testoni, i testoni, i mezzi testoni, i quarti testoni, i cavallotti, i grossi, le parpagliole, le trilline, i sesini, i denari, ecc. ecc. Morto il grande Maresciallo, il suo successore Gian Francesco Trivulzio con¬ tinuo a battere monete a Roveredo, impiegando gli stampi del potente suo avo ed aggiungendo una ventina di modelli nuovi, talune con la propria effigie. Dei santi e delle
insegne ed emblemi effigiati sulle monete coniate a Roveredo si possono annoverare: San Biagio, San Giorgio, San Carpoforo, La Vergine che adora il Bambino, lo scudo trivulziano coi tre pali verdi in campo rosso, la croce gigliata, il rovere (che puö avere rapporto con lo stemma di Roveredo), le tre crocette disposte ad angolo, la ruota del sole, i gigli di Francia, la corona comitale, l'accetta, il guerriero assiso, la testa nuda, ecc. ecc. 



Le monete d'oro, che erano del peso di gr. 2,800 fino a quello di 3,600, recavano sul dritto le parole CRISTUS VINCIT — CRISTUS REGNAT — CRISTUS IMPERAT; e sul rovescio le abbreviazioni JO JA TRI MAR VIGLE ET MARLS FRAN., il che significa « Gian Giacomo Trivulzio Marchese di Vigevano e Maresciallo di Francia ». In giro all'effigie della Vergine si legge « Santa Maria ». Mentre sulle monete d'argento dalla stessa effigie religiosa si legge QUEM GENUTT ADORAVIT e su quelle delle effigi di santi si legge SANCTUS GEORGIV — S. BLAXIUS EPISCOPU. Le monete di Gian Francesco Trivulzio reeavano sul dritto le parole ,1. FRANCISC TRIUL MAR VIG & C (Giovan Francesco Trivulzio Marchese di Vigegano e Conte); sovente l'iniziale di CONTE era susseguita da una M che voleva significare Mesoicina. Mentre sul rovescio figuravano su per giü le stesse insegne, gli stessi santi e le stesse frasi. In contrasto col grande Trivulzio, che non aveva mai fatto incidere la sua effigie sulle monete, il suo abbiatico e successore Gian Francesco, che al cospetto del primo era un uomo di valore assai limitato, volle che il suo sembiante figurasse sul dritto dei pezzi d'argento. E' significativo il fatto che talune monete uscite dalla Zecca di Roveredo si presentano perfettamente eguali, da un lato, a quelle coniate nella Zecca di Bellinzona dai tre cantoni con l'effigie di San Martino a cavallo. Gian Giacomo Trivulzio, che nel 1508 era entrato in possesso della famosa rocca di Musso sul Lago di Como, il 1° maggio del 1512 otteneva dal re di Francia, che molto gli doveva per i grandi servigi resigli, il permesso di battere monete anche in quel castello. Di modo che da quell'epoca egli faceva funzionare ambedue le zecche, benche l'attivitä di quella di Musso fosse assai piü limitata. Morto Gian Giacomo, il successore Gian Francesco Trivulzio continuo a bat tere monete in- Roveredo per ben 31 anni, cioe fino al 1549. Esistono ancora, in Roveredo, alcuni libri di conti di quella Zecca; e nell'archivio della famiglia Trivulzio a Milano si trovano altri interessanti documenti. Nel 1537 era maestro di quella Zecca un Gian Battista d'Appiano che aveva ri¬ cevuto in consegna una serie di progetti di monete disegnati alfinchiostro, alcuni dei quali furono poi coniate in argento. Pure esiste il manoscritto nel quäle Giovan Giorgio d'Albrione, Commissario dei Trivulzio in Mesoicina, segnava i conti della Zecca di Roveredo e le spese incontrate per il Conte Marchese Gian Francesco. Del medesimo Albrione esistono anche un contratto nel quäle aecorda la Zecca in appalto ad un tale Dionigi Besson, di Lione, per il periodo di sei anni. Mentre sotto al grande Trivulzio furon sempre battute buone monete e ben aecreditate, sotto al regime del suecessore Gian Francesco le cose mutarono affatto. Disordinato e prodigo, egli aveva sempre bisogno di denaro; e per trovarne con faciloneria si serviva della Zecca, affittandola ad avidi zecchieri che stampavano ogni sorta di monete, falsificando le veechie trivulziane e quelle di altri paesi. II che provocava dei bandi negli stati vicini, che riducevano il loro valore. Non c'e quindi a meravigliarsi del caso ancora recente di un giovane luganese che in occa¬ sione di un'udienza concessagli da Sua Maestä Vittorio Emanuele, Re d'Italia. questi, che e un numismatico molto appassionato, gli abbia detto fra altro: < Ah, Lei e della Svizzera Italiana? Io la conosco abbastanza bene; so anzi che a Mesocco esiste un bei castello che apparteneva a certi signorotti i quali batlevano moneta falsa milanese >. Gian Giacomo Trivulzio. che nella sua lunga e fortunata carriera militare aveva raccolti allori ed ammassato grandi ricchezze, spendeva molto in Mesoicina, che egli considerava come la sua terra preferita. E ciö gli valse le simpatie dei Vallerani. Non cosi il suo successore, che si dimostrava tirchio ed esigente. II 2 agosto 1541 scriveva egli al suo luogotenente in Roveredo: « Farete plantare una forca a Roveredo ed un'altra a Mesocco fatte di preda et calcina con quattro pilastri...». Tre di quei pilastri si vedono ancora in Roveredo, abbastanza ben conservati, nei piani della Gravera, poco lungi dal fiume Moesa, vicino alla Cappella de! Pantano; un minuscolo tempietto isolato dove i condannati recitavano la loro ultima preghiera. E Gian Francesco intanto, che conduceva vita passionale, traviata ed errabonda in Italia, accusato di trama per sopprimere il Duca di Milano, veniva condannato allo squartamento. Compiacentemente salvato per intromissione di Carlo V., poco dopo fu di nuovo condannato alla confisca dei beni ed alla pena capitale per un ferimento a mano armata; ed il compiacente imperatore lo traeva per la seconda volta a salvamento. Intanto in Mesolcina va accentuandosi il vento ostile e si capisce. Giä nel 1526 la rocca di Mesocco era caduta per volontä della Repubblica delle Tre Leghe. E nel 1549 i Mesolcinesi, dopo tante vicissitudini e reiterati sforzi, riscattano, al prezzo di 24,500 fiorini d'oro, somma ingentissima per quei tempi, e che costö alla popolazione immensi sacrifici, tutti i diritti e tutti i possedimenti dei Trivulzio in Valle. Da quel giorno la Zecca cessa dal battere moneta; e sotto l'egida della Repubblica Grigione delle Tre Leghe l'orifiamma della libertä sventola, in Mesoicina e Calanca, per non piü aminainarsi. Mentre il sontuoso Castello di Roveredo, arso dal fuoco, percosso dal piccone demolitore, dilaniato dalle onde impetuose di due fiumi arrabbiati, si sgretola, perisce e scompare…


CARLO BONALINI
Fonte: Giornali Grigioni Italiano
(Conferenza data il 30 novembre 1936 alla Radio Svizzera Italiana)

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