Martedi Grass [StraKumerli] by Bube`s Pub Roré!
martedì 31 maggio 2016
Domenica 12 Giugno, ore 10.45, Piazzetta Roveredo
Il 12 giugno 2016 alle ore 10.45 in Piazzetta a Roveredo.
La Filarmonica di Roveredo presenta il Concerto Primaverile.
La Filarmonica di Roveredo presenta il Concerto Primaverile.
‘Note’ aperte alla Scuola di Musica del Moesano
Fino a venerdì 3 giugno porte aperte alla Scuola di musica del Moesano.
Si potrà assistere, nelle diverse sedi, a sequenze di insegnamento (info su date, orari, luogo agli albi scolastici); così come iscriversi ai corsi per bambini o adulti (attenzione ci si può annunciare fino al 21 giugno ad Antonella Codoni musicamoesano@bluewin.ch o 091 827 13 16).
Tra le novità “Il nido dei suoni”, per bimbi dai 18 mesi ai 3 anni che, accompagnati da genitori o nonni e guidati da un’insegnante, potranno familiarizzare con la musica.
Si potrà assistere, nelle diverse sedi, a sequenze di insegnamento (info su date, orari, luogo agli albi scolastici); così come iscriversi ai corsi per bambini o adulti (attenzione ci si può annunciare fino al 21 giugno ad Antonella Codoni musicamoesano@bluewin.ch o 091 827 13 16).
Tra le novità “Il nido dei suoni”, per bimbi dai 18 mesi ai 3 anni che, accompagnati da genitori o nonni e guidati da un’insegnante, potranno familiarizzare con la musica.
Fonte: La Regione Ticino
Oggi, martedì 31, ore 20.15, Centro ai Mondan
Serata dal titolo “M’ha perdù el treno”, organizzata dalla Biblioteca regione Moesa per presentare il progetto “Raccolta di interviste e documenti sulla Ferrovia Bellinzona-Mesocco 1907-2015”. Un’occasione per ricordare un pezzo di storia locale con alcune testimonianze.
Saranno presenti Marco Marcacci (introduzione storica), Francesca Nussio (presentazione progetto), Annamaria Marcacci (intermezzo di poesie); modera Luigi Corfù.
Fonte: La Regione Ticino
lunedì 30 maggio 2016
Costruttore Corni delle Alpi
Passatempo?: "costruttore corni delle alpi!"
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Il Mondo al Contrario
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Scarpe grosse e cervelli fini
Fonte Articolo |
«Chiunque saprà presentarmi cinque problemi/indovinelli che mia figlia non è in grado di sciogliere, riceverà in compenso cento scudi d’oro». Firmato: «Il Console».
Pietro si sentì rimescolare. Perche' non tentare, lui, che aveva già risposto a tanti problemi e tanti ne sapeva improvvisare? «Ma forse» pensava «Il concorso non è che un pretesto». La figlia del console, sebbene molto carina, non è più fanciulla, bisogna trovarle marito. Aurora (così si chiamava la “consolina”) non era certo carne per i denti di Pietro che del resto, era bello, forte e gagliardo come gli alberi dei nostri monti. Eppure... il pastore di Roggio non poté resistere alla voce che gli sussurrava costantemente: «Va’, va’, tenta la tua fortuna!». Lì Pietro non poté resistere. Si congedò dai compagni di lavoro che lo salutarono sorridendo, augurandogli tanta fortuna.
«Ei problemi, Pedrìn?», chiese Mario, il casaro, mentre salutava l`amico con un cenno della mano. «Li studierò lungo il cammino», rispose il pastore proseguendo a passi sciolti per il sentiero. E strada facendo il nostro simpatico giovane si lambiccava il cervello in cerca di problemi che, nemmeno a farlo apposta, proprio ora sembrava non voler venir a galla. Ma la fortuna è degli audaci, dice il proverbio, e ben presto ecco che l’agognata dea favorisce l’alpigiano. Un uccellaccio che si sarebbe detto di malaugurio, sfiorava continuamente il capo del nostro, che, persa la pazienza, gli scaglia contro un sasso.
Il colpo però fallisce e il corpo solido colpisce mortalmente un leprotto precedentemente perseguitato dai cani. Sorride Pietro e pensa: «Ecco il mio primo problema». E scrisse sul suo taccuino: «Tiro a chi vedo e colpisco chi non credo». Proseguì più fiducioso il suo cammino, ma s’accorse ben presto che il bel sole del mattino era scomparso dietro nuvoloni neri, neri, che promettevano poco di buono. Infatti si scatenò poi un impetuoso temporale che lo consigliò di rifugiarsi in una stallaccia che sorgeva provvidenzialmente poco lungi dalla via. Qui, Pietro, mentre aspettava, convenne che sarebbe stato meglio regolare anche il conto col suo stomaco che incominciava a brontolare, e non avendo altro, pensò alla sua lepre. Ma non c’era nemmeno un po’di legna in quel localaccio. Giornali però ne aveva parecchi in tasca. Proprio questi servirono per “cucinare” alla meglio l’eccellente bocconcino.
E nacque cosi spontaneo il secondo quesito: «Mangiar carne cotta con le parole». Ritornò il sole e Pietro riprese la discesa. Avvicinatosi alla sorgente per bagnarsi la fronte e per bere una goccia d’acqua buona, vide che l’arco argenteo, battendo continuamente sulla roccia sottostante aveva formato nella stessa una Specie di conca rotondetta, come se fosse stata lavorata dagli uomini. Pietro osservò attento e scrisse: «Il molle intenerisce il duro». Prosegui il nostro più felice lungo il sentiero, ma fu tosto fermato da un puzzo nauseabondo. Ecco che uno stormo di Corvi si posa su di un corpo nero a pochi passi dalla strada. L`alpigiano, pur tenendosi a debita distanza, vuol sincerarsi di che si tratta. È il corpo di una capra in putrefazione. Quella rogna tira i corvi, pensa Pietro, e scrive: «Il morto tira il vivo»
Stava l'alpigiano per entrare nel borgo, e cercava invano il suo ultimo problema da sottoporre quando vide un gattone grigio arrampicarsi disinvolto su di un albero e fermarsi in atto d’agguato vicino al nido che ospitavai i teneri uccellini. Ma la mamma, che custodiva gelosamente i piccini, incominciò a tempestare il capo del suo nemico conforti beccate. Così il cattivo felino dovette rinunciare alla strage. Pietro commosso, osservò e scrisse: «Colpito alla testa,il nemico s’arresta».
Entrò il nostro nel palazzo del console dove era un andirivieni di concorrenti. Nessuno era riuscito a confondere madamigella Aurora. Il superbo alpigiano, invece, mise nell’imbarazzo la bella giovane che, dopo aver dato le più svariate risposte, non era riuscita mai adazzeccare quella giusta. Pietro, giulivo, intascò la sua meritata ricompensa, e, a generale richiesta, raccontò come erano nati i suoi problemi.
Aurora, la bella “consolina”, ebbe allora uno sguardo di ammirazione e di rispetto per il pastore di Roggio e gli strinse cordialmente la mano. E il signor console, battendo la sua destra sulla spalla del montanaro, non poté far altro che ripetere il vecchio ritornello:
«Contadini, montanini, scarpe grosse e cervelli fini».
Lago Alva
Ultimo Treno a Roveredo - Terzo Capitolo della Trilogia di Roveredo
Attori e Comparse: Yor Milano, Fernanda Biondini, Alessandra Schenardi, Carlo Manzoni, Luciano Pasini, Carlo Manzoni, Fagetti Lorenzo, Fagetti Moreno, Da Canal Davide, Stella Samà, Ilaria Menghini, Mascia Navoni, Eros Pasini, Leila Pasini, Sergio Paganoni, Theo Riva, Pietro Riva, Christian Zoppi, Eros Ambrosetti, Albert Bachera, Sandro Rigotti, Sergio Rigotti, Igor Berera, Franco Della Valle, Gabriele Stanga, Leslie Day, Lauro Todisco, Giuseppe Stanga, Pietro Stanga, Luciana Gianuzzi, Filarmonica di Roveredo, Martin von Wyl, Michela Cattaneo, Franco Cattaneo, Paola Cattaneo, Bruno Cavadini e Cici, Succetti Giuseppe e Bibi, Alfredo Rigotti, Maria Rigotti, Bruno Pasini, Carmen Pasini, Katia Pasini, Viviana Pasini, Federica Penta, Sara Penta, Anni Moreni, Cleto Vivalda, Luigi Mazzolini, Claudio Mainetti, Dante Spadini, Gabriele Ferrari, Oscar Bertossa, Paolo Bianchi, Carlo Fasani, Fredy Parolini, Giancarlo Mottoni, Michele Kessler, Giangiorgio Helbling, Sergio De Carli, Bruno Ferrari.
Staff: Christian Tarabini, Orsola Valenti, Cédric Flückinger, Gabriel Lobos, Sophie Walzlawick, Carlos Ibanez, Claudia Dessolis, Sandra Ferrara, Laura von Niederhäusern, Mary Vigolo, Danilo Ligato, Adrien Kessler.
Regia di Christian Tarabini, Roveredo, 2008.
L`infiltrato Buono
Breve aneddoto raccontato da Ivano "Rusty" Somaini.
domenica 29 maggio 2016
La leggenda del Barba Vairett
Fonte Articolo |
Accadde, però, che un giorno il giovane si chiese:
«Perché tutte le sere posso andare a trovarla, mentre il giovedì no?»
Per togliersi la curiosità, un giovedì sera si recò inosservato nelle immediate vicinanze dell’abitazione della sua fidanzata per cercare di capirne il segreto. Vide che prima la madre e poi la figlia si spalmavano sul viso un certo unto che tenevano gelosamente nascosto dentro la cappa del camino. In seguito, vide anche che prima la madre e poi la figlia scomparivano all’interno del camino.
Preso dalla curiosità, Barba entrò nella cucina e si unse anche lui... e pure lui scomparve nel camino! D’incanto, si trovò nel bel mezzo di un convegno di streghe e stregoni e vide la sua fidanzata e sua madre che danzavano nude attorno ad un fuoco acceso in mezzo ad un grande prato.
E nel bel mezzo, seduto su un tronco di abete, c’era il diavolo in persona che, con in mano un grosso registro, annotava i nomi di tutti i presenti. Quando vide che era arrivato anche Barba, lo invitò ad apporre la sua firma sul registro.
Barba ebbe un colpo di genio. Invece, di scrivere il proprio nome vi tracciò la croce di Cristo. Non l’avesse mai fatto! In un baleno si scatenò il finimondo. Il diavolo rovesciò il pesante tronco con sopra il voluminoso registro e diede in escandescenze, inaudite minacce, bestemmie e terribili maledizioni.
Gaze of the Fire Witch Dan Verkys |
in un fuggi fuggi generale. Da quel giorno del Berlott
(raduno di streghe, stregoni e il diavolo in persona)
non si seppe più nulla.
Kevin, Mattia e Sirio
Prima Azienda Elettrica
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La spiccata intraprendenza e la passione per l’elettricità del nonno, nel 1911, lo portarono a fondare con altri tre amici la «Società elettrica di Roveredo» che si prefiggeva il seguente scopo «Somministrazione di energia elettrica per illuminazione, per motori e altri usi per impianti ed apparecchi in genere». L’ente era
completamente autonomo: il nonno aveva la funzione di direttore. All’inizio del 1911 fu stipulato un contratto con l’Amministrazione della Ferrovia elettrica Bellinzona-Mesocco per la cessione di corrente elettrica: contratto che il 14 aprile 1917 venne prolungato per altri sette anni. L’attività iniziò subito e può essere seguita ancor oggi sfogliando il «Registro delle copie delle lettere»; all’inizio del 1911 furono fatte le prime ordinazioni di materiale presso le diverse ditte della Svizzera interna (C.A. Bickel di Winterthur, Sprecher & Schuh di Aarau, C. Schäfer di Zurigo, Schwarzenbach di Ginevra, Otto Fischer di Sciaffusa). Il lavoro non mancava e sicuramente la novità dell’il- luminazione nelle case aveva contribuito allo sviluppo dell’attività. Già all’inizio del 1912 la cinquantina di preventivi elaborati per l’illumi- nazione delle diverse abitazioni di Roveredo è la comprova del grande interesse suscitato dall’elettricità in paese.
Il tasso orario per il lavoro di montaggio era inizialmente di fr. 0.90, passato poi a fr. 1.10 e quindi a fr. 1.40. Operaio montatore degli impianti era il signor Leonardo Beeli.
Un accurato esame della realizzazione nel tempo dei diversi impianti sarebbe interessante per ricostruire come avvenne la progressiva distribuzione dell’elettricità nel paese.
La fornitura dell’energia elettrica da parte della Ferrovia elettrica Bellinzona - Mesocco non sempre funzionava; per esempio il 26 novembre 1913 l’Azienda scriveva alla Direzione della BM:
«Da alcuni giorni ci vengono continue lagnanze da parte dei nostri abbonati per le frequenti interruzioni della corrente elettrica come pure per le forti oscillazioni nella luce e mancanza di tensione; facciamo proseguire dette lagnanze a Codesta Lodevole Direzione affinchè abbia a prendere quei provvedimenti del caso.»
PIERO CASELLA
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I Giovani e il Dialetto
Fonte Articolo |
El pont di pont
di Leandro Amato, Scuola secondaria Roveredo, classe 2.a, vincitore nella categoria A
Al mond a gh`è vari tipi de pont, dai pont vecc ai pont néf, da cùi grant a cùi pinin, da pont che gh`è ai pont che gh`è miga. Eppur, tucc i pont, anche se iè iscì différent l’un da l’altro, iè pur sempro pont.
Ma cosa i gh`à in comun? Perché iè tucc pont? Quasi nisun ial sa, la maggior part de la gent i dis che iè pont e basta: cùi poc che i sa la verità, invece, i custodis gelosament el so segreto.
Ma sicome mi son iscì bon, v’el disi: i pont i sta tucc sota al stess re, el Pont Arcobaleno. Lu l`è facc con tòcch de pont de tutt el mond e el va in tucc i sit de la Tera, tacando inséma tutt el pianeta.
Se un dì un fortunò el narà su sora l’Arcobaleno, el vedrà veres mila pont e el dovrà domà decit in quale direzion naa.
di Leandro Amato, Scuola secondaria Roveredo, classe 2.a, vincitore nella categoria A
Al mond a gh`è vari tipi de pont, dai pont vecc ai pont néf, da cùi grant a cùi pinin, da pont che gh`è ai pont che gh`è miga. Eppur, tucc i pont, anche se iè iscì différent l’un da l’altro, iè pur sempro pont.
Ma cosa i gh`à in comun? Perché iè tucc pont? Quasi nisun ial sa, la maggior part de la gent i dis che iè pont e basta: cùi poc che i sa la verità, invece, i custodis gelosament el so segreto.
Ma sicome mi son iscì bon, v’el disi: i pont i sta tucc sota al stess re, el Pont Arcobaleno. Lu l`è facc con tòcch de pont de tutt el mond e el va in tucc i sit de la Tera, tacando inséma tutt el pianeta.
Se un dì un fortunò el narà su sora l’Arcobaleno, el vedrà veres mila pont e el dovrà domà decit in quale direzion naa.
La «galinaccia»
di Elena Giovanoli, Soglio, Scola Vinavon Ilanz, 10o anno, vincitrice nella categoria B
Incurca am sera pitt, lan nossa mamma, ma scpess er i féncett pü granc, par as fé ciapé temma is quintean sü sctoria de besc cativ, mosctri o persuna, e mia domma ‘na volta ... e la finive andas porté e cà parche sulet mas caghea e dos.
Üna da quesctan sctoria l’era quella d’la galinaccia, ca par nuéltar l’era mia sctoria, l’era vera! I granc is quintean sü ca sur i punt d’i dröc al sctea üna galinaccia: ün ulcel ca’l sumaiea é l’aigla, grandissim, ner, cun ongla güzissima. Questa galinaccia la stea tüt al dì ent al se niul é, da là, la controlea al punt e la scpacea ca’l pases ün féncett pitt sulett par al ciapé e’l maié. Par fortüna sa ai era ün grant insemmal la nia mia! Einnu ogni volta ca’s pasea al punt l’era da éssar con ün grant e pasé driz senza as guardé inturn.
Ognitént am scpiea e m’as immaginea d’avde la galinaccia, ma nu sücedea mäi. Quanta nuéltar pitt am sera insemmal e fé scpass, certan volta am gea dascpéi el punt, m’osea mia el sctraverzé, am vea trop temma ca’l rives la galinaccia, ma intént am fagea é gara é chi ca’l gea pü dascpéi. Un dì, am vegn in ment, me cuscina, ca l’è pü vela chi ge, par la prümma volta am vea lascéda sctraverzé suletta. Ge prüm però i vea dumandé: “E la galinaccia?”, le: “No, no, mia ve temma, l’avdü ch’i som chilò dascpéi, einnu nu vegn mia”.
Incurca ia sentì scta robba im som cunvinciüda é da grand’onda ia sctraverzé, é pö im som giréda e infatti da galinaccia n’un n’é mia rivé. Ma la volta ch’i a capì dal vero ca la galinaccia l’esisct mia, i crec ca’l seia giü quanca nuéltar féncett am se andac tücci sül punt sulett. Dui da nuéltar i susctegnian ca la galinaccia ai ié mia. I se genitur i nian da ün éltar löc, da la Svizzera tudesca, e i quintean mia sü sctan sctoria da paìs...ca eltar nun era che ün sisctema par as tegnì dalonc di periccul.
di Elena Giovanoli, Soglio, Scola Vinavon Ilanz, 10o anno, vincitrice nella categoria B
Incurca am sera pitt, lan nossa mamma, ma scpess er i féncett pü granc, par as fé ciapé temma is quintean sü sctoria de besc cativ, mosctri o persuna, e mia domma ‘na volta ... e la finive andas porté e cà parche sulet mas caghea e dos.
Üna da quesctan sctoria l’era quella d’la galinaccia, ca par nuéltar l’era mia sctoria, l’era vera! I granc is quintean sü ca sur i punt d’i dröc al sctea üna galinaccia: ün ulcel ca’l sumaiea é l’aigla, grandissim, ner, cun ongla güzissima. Questa galinaccia la stea tüt al dì ent al se niul é, da là, la controlea al punt e la scpacea ca’l pases ün féncett pitt sulett par al ciapé e’l maié. Par fortüna sa ai era ün grant insemmal la nia mia! Einnu ogni volta ca’s pasea al punt l’era da éssar con ün grant e pasé driz senza as guardé inturn.
Ognitént am scpiea e m’as immaginea d’avde la galinaccia, ma nu sücedea mäi. Quanta nuéltar pitt am sera insemmal e fé scpass, certan volta am gea dascpéi el punt, m’osea mia el sctraverzé, am vea trop temma ca’l rives la galinaccia, ma intént am fagea é gara é chi ca’l gea pü dascpéi. Un dì, am vegn in ment, me cuscina, ca l’è pü vela chi ge, par la prümma volta am vea lascéda sctraverzé suletta. Ge prüm però i vea dumandé: “E la galinaccia?”, le: “No, no, mia ve temma, l’avdü ch’i som chilò dascpéi, einnu nu vegn mia”.
Incurca ia sentì scta robba im som cunvinciüda é da grand’onda ia sctraverzé, é pö im som giréda e infatti da galinaccia n’un n’é mia rivé. Ma la volta ch’i a capì dal vero ca la galinaccia l’esisct mia, i crec ca’l seia giü quanca nuéltar féncett am se andac tücci sül punt sulett. Dui da nuéltar i susctegnian ca la galinaccia ai ié mia. I se genitur i nian da ün éltar löc, da la Svizzera tudesca, e i quintean mia sü sctan sctoria da paìs...ca eltar nun era che ün sisctema par as tegnì dalonc di periccul.
M’à volü proé e’vde: am volea ve rasciun nuéltar,
ma infondo am scparea ca i vessan rasciun lur dui, parche sa no am füs mort!
Plän plänin m’as se mes tüc in méz él punt e scpacé. La galinaccia l’é mia
rivéda einnu m’a capì.
Quanch’i pass quel punt am vegn sempar in ment scta
sctoria.
I Goss de Rorè
Fonte Articolo |
«Cosa cribbio l’è chesto chi?»
La figura si fermò e chiese all’ometto dove fosse diretto. L’ometto gli rispose che stava andando a valle, perché iniziava a lavorare presto. L’uomo guardò dritto negli occhi l’ometto e gli disse:
«Ti adess te vé avanti per el to camin, qualsiasi rumor che te sent dré ai to spall, tet gira miga a guardà cosa sucet. Ti te ghé un goss nel col!»
Curiosità |
«Se tet gira miga a curiosà, quant te riverà giù a Rorè el to goss el sarà sparit! Se invece tet gira a guardà cosa sucet, tet ritroverà con sett goss!»
L’ometto, tutto impaurito, corse a tutta velocità attraverso il bosco, per fuggire e continuava a toccarsi il gozzo, terrorizzato. Arrivato a Roveredo, il gozzo era sparito nel nulla. Allora, tutto felice, andò nel paese a raccontare il fatto che gli era accaduto. Una signora che aveva anche lei il gozzo, quando ebbe sentito la storia volle provare anche lei. Così decise di andare nei boschi. Quando arrivò la sera si incamminò, sperando di incontrare l’uomo in nero. Verso l’alba, intravide la figura misteriosa e decise di andargli incontro. L’uomo in nero le disse:
«Se ti adess te pasa giù per la to strada, tet gira miga a vede cosa ac sucet dré ai to spall, te vedré che quant te sé a Rorè el to goss el sarà sparit! Però rigordet che sé te fé la curiosa, la ten spunta fora sett!»
La povera donna, mentre si incamminava a valle, sentì degli strani rumori dietro di sè. La curiosità fu troppo forte e lei non riuscì a non girarsi a curiosare. Infatti, quando arrivò a Roveredo, si ritrovò con sette gozzi.
Nessuno seppe mai cosa aveva visto la povera donna...
Anna Regusci e Stefano Capelli
sabato 28 maggio 2016
Trailer del film "LADY NU"
"Lady Nu" è una persona che ha probabilmente troppa stima di sé; vive nel lusso e crede di saper dipingere, ma nessuno apprezza i suoi lavori. Cerca l’ispirazione nella natura, ma con essa ha uno scontro brutale, poiché, a dire il vero, non si è mai avvicinata a quel "mondo". Di conseguenza, questo fattore, per lei, è del tutto disarmante... Sulla sua strada, in ogni caso, incontrerà una serie di personaggi, tra cui alcuni pittori, grazie ai quali riuscirà ad apprezzare la bellezza che ci circonda, e, nel contempo, capirà che l'arte non si compra. “Lady Nu” è anche un viaggio nella memoria dei suoi pensieri più intimi, più profondi.
Sceneggiatura, regia, Fotografia e montaggio sono di Riccardo Lurati.
#FAIGIRARELACULTURA
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Deus ex Machina - Secondo Capitolo della Trilogia di Roveredo
Attori: Fernanda Biondini, Stefan Ograbek, Giuseppe Stanga, Enea Bonomi, Anna Stanga, Elena Guerini, Sandro Rigotti, Yor Milano, Alessandra Schenardi, Luciano Pasini, Michela Tomat, Carlo Manzoni, Nico Fibbioli, Sandi Balestra, Fabio Buchmann, Sergio Paganoni, Pietro Barbieri, Renzo Tarabini, Gino Mossi, Martin Von Wyl, Sandra Ferrara.
Staff: Christian Tarabini, Gabriel Lobos, Carlos Ibanez, Daniele Brechbühl, Sandra Ferrara, Laura von Niederhäusern, Alan Bogana, Cicciolina, Vox Blenii, Adrien Kessler.
Il Gonzo e Lo Stono al Cannevale Lingera
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La sorgente di Sant’Anna
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Su invito dei notabili della valle, Borromeo soggiornò in Mesolcina dal 12 al 30 novembre 1583 per mettere ordine nella vita religiosa e restaurare il prestigio della Chiesa cattolica. Sostenitore della Controriforma, si preoccupò soprattutto di arginare l’espansione del protestantesimo. Egli dovette lottare contro l’immoralità e l’ignoranza del clero, la disorganizzazione della vita ecclesiastica, lo stato di abbandono di molti luoghi di culto.
I segni evidenti del suo passaggio furono il rinnovamento della vita ecclesiastica e liturgica, la diffusione dell’insegnamento scolastico e la partecipazione dei laici alla vita religiosa. I segni che lasciò San Carlo non furono però solo questi. Si racconta da tempo una leggenda tramandata da molte generazioni, e il suo mistero è ancora visibile oggi presso la chiesa di Sant’Anna a Roveredo.
San Carlo Borromeo, facendo ritorno verso Milano dopo il soggiorno in Mesolcina, passò nei dintorni della chiesa di Sant’Anna. Con sé aveva solamente un bastone. Si presume che avesse già percorso un lungo tragitto, in quanto era partito dalla valle Calanca. L’arcivescovo di Milano non aveva con sé nessuna fonte d’acqua.
A Sant’Anna trovò un torrente dove potersi abbeverare ma era irraggiungibile a causa della pendenza del terreno che lo precedeva. In quel tempo il ponte oggi presente, che permette di attraversare il torrente della Traversagna, non esisteva; il terreno era molto differente e impervio.
Per questo, San Carlo molto assetato decise di tentare la fortuna, toccando con il bastone la roccia accanto a lui. La leggenda narra che pochi secondi dopo che egli aveva praticato questo gesto, dalla roccia iniziò a sgorgare una piccola sorgente. Così poté bere per poi riprendere il cammino per tornare al suo paese d’origine, a Milano.
La sorgente è ancora visibile oggi nei pressi della chiesa di Sant’Anna, sotto una piccola cappella costruita più tardi in suo onore, e come segno del suo passaggio.
Christopher Boldini.
Storia raccontata da
Lino Losa
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La leggenda delle tre scuri
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I bambini dissero al papà: “Caro papà, per Natale ci piacerebbe ricevere una bella slitta di legno, così quando arriverà la neve potremo andare anche noi a slittare”.
Tonio promise ai suoi figli che per Natale avrebbero ricevuto una bella slitta di legno. Ritornato sul monte, dopo il lavoro, decise di andare a cercare un albero di faggio ricurvo per fabbricare i pattini della slitta. Scese lungo la Traversagna. C’erano bellissime cascate e pozzi profondi. Tonio cercò a lungo e, finalmente, vicino a una cascata che terminava in un pozzo profondo del quale non si vedeva il fondo, trovò l’albero che faceva al caso suo: un bel faggio ricurvo dal quale avrebbe ricavato i pattini della slitta. Prese la scure e cominciò a tagliare l’albero. Con colpi mirati e precisi la lama incideva il tronco, facendo schizzare larghe schegge di legno tutt’attorno. Dopo mezz’ora, provato dalla fatica, Tonio decise di riprendere fiato e riposarsi un attimo. Si sedette, appoggiò la scure ad un sasso. Senza volerlo, urtò l’attrezzo che, sfuggitogli di mano, andò a finire nel profondo del pozzo. Tonio cercò disperatamente, usando dei rami trovati lì vicino, di ricuperare la scure. Poiché il pozzo era troppo profondo. Disperato per aver perso il suo prezioso arnese da lavoro, Tonio si mise a piangere. All’improvviso senti un fruscio alle sue spalle. Si voltò evide un omiciattolo. Era vestito di rosso con un cappello a punta. Aveva le orecchie appuntite e uno strano sorriso. Tonio, vedendo quell’essere, quasi si mise a ridere, però rimase serio.
L’omiciattolo gli chiese: “Perche' piangi?”. Tonio rispose: “Mi è caduta la scure nel pozzo e io non ho più il mio attrezzo per lavorare”. L’ometto si tuffò nel pozzo. Vi rimase alcuni minuti e ne uscì con una scure d’oro. Chiese al boscaiolo: “È questa la tua scure?”. Lui rispose: “No, la mia non era così”. L’ometto si rituffò eri tornò con una scure d’argento. Chiese: “È questa?”. Tonio rispose di no. Lo gnomo si rituffò e riapparve con la vera scure. Rifece la domanda e Tonio rispose contento: “Sì, questa è la mia”.
Vista l’onestà e la sincerità dell’uomo. L’ometto gli regalò le tre scuri. Tonio nascose le scuri nella giacca e tornò al capanno. Un suo compagno, però, andò a
curiosare e vide le tre scuri. Chiese a Tonio come le aveva avute e lui raccontò l‘accaduto. Tonio gli narrò l‘incontro con l’omiciattolo. Il giorno dopo il suo compagno andò allo stesso posto. Gettò apposta la scure nel pozzo e si mise a piangere. Puntualmente arrivò l`omiciattolo. Successe la stessa cosa. Quando gli fece la terza domanda il boscaiolo rispose sì. Allora l`omiciattolo sparì e il boscaiolo è ancora lì che aspetta la sua scure perduta.
Quando d`estate il sole penetrando nella valle fa luccicare i profondi pozzi della Traversagna, i vecchi dicono che sono i riflessi della scure del boscaiolo. Nelle giornate di vento, quando si sente nella valle il rombo dell`aria, simile ad un urto, si dice che è il pianto del boscaiolo che aspetta la sua scure.
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